mercoledì 20 febbraio 2019
Davide Casaleggio, affari d'oro con il M5s al governo: ecco quali nuovi contratti ha firmato
Ancora non sappiamo se - come garantito dal vicepremier nonché ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio - il Movimento 5 Stelle abolirà la povertà, certo è che ha giovato alle casse della piccola azienda di marketing informatico Casaleggio Associati, di cui è presidente Davide Casaleggio, fondatore, presidente e tesoriere dell' Associazione Rousseau da cui dipende il M5S.
Infatti, da quando i pentastellati sono al governo - ma sarà solo una coincidenza -, al primogenito di Roberto Casaleggio si rivolgono nuovi giganteschi clienti, che hanno consentito alla società del dominus del movimento di incrementare negli ultimi mesi il proprio giro d' affari prima quasi del tutto piatto, tanto che nel 2017 la Casaleggio Associati aveva chiuso l' anno con un utile di 20 mila euro, sempre meglio degli anni precedenti in cui il bilancio era in rosso. Anche Poste italiane, che ora si occuperà della distruzione del reddito di cittadinanza, ha deciso di investire 30 mila euro, insieme a Consulcesi che ne ha versati altrettanti, per finanziare una piccola ricerca di poco più di 50 paginette, commissionandola all' azienda di Casaleggio junior che l' ha presentata lo scorso novembre.
L'argomento del volumetto è la blockchain, nuova tecnologia di condivisione delle informazioni tra diversi sistemi, tecnologia allo sviluppo della quale l' esecutivo, in particolare il ministero dello Sviluppo economico, con la legge di bilancio ha destinato 45 milioni di euro nell' ambito del "Fondo Blockckhain e Internet of things".
A Davide, del resto, non possiamo farne una colpa se numerosi colossi finanziari scelgono di rivolgersi alla sua minuscola società milanese per riceverne dritte, consigli, suggerimenti di strategie al fine di continuare a fare quello che hanno fatto alla grande negli ultimi decenni anche senza l' aiuto della Casaleggio Associati, ossia espandersi sul mercato ed innovarsi. Magari questi prestigiosi marchi ritengono Davide determinante nei loro business e non gli fa minimamente gola - come si potrebbe pensare - il fatto che Casaleggio junior gestisca l' Associazione Rousseau e abbia per statuto pieni poteri sul movimento che ora è al governo.
SOLO COINCIDENZE È un' altra coincidenza che Poste Italiane, cliente della società privata Casaleggio Associati Srl, sia uno dei soggetti principali nella gestione del flusso finanziario del reddito di cittadinanza mediante le apposite card fornite ai cittadini che hanno diritto al sussidio. L' amministratore delegato di Poste, Matteo Del Fante, ha chiarito il suo rapporto con l' azienda di Casaleggio junior, spiegando che quei 30 mila euro non erano che un semplice finanziamento a un ente di ricerca, come se la Casaleggio Associati fosse un ente senza scopo di lucro che ha ricevuto un po' di beneficenza.
Il conflitto di interessi c' è ed è pure bello grosso. Ma i cinquestelle fingono di non accorgersene, proprio loro che avevano fatto della battaglia a questo genere di discrepanze una sorta di vessillo. Ed i conflitti di interesse non finiscono mica qui.
Poi c' è lui: Mimmo Parisi, profeta in patria, docente di demografia e statistica applicata presso il Dipartimento di Sociologia e Lavoro Sociale dell' Università del Mississippi ed Executive director del NSPARC (National Strategic Planning & Analysis Research Center), centro di ricerca della stessa Mississippi State University. Parisi è - e lo diciamo senza sarcasmo - una sorta di cervello in fuga che Di Maio ha voluto recuperare e riportare all' ovile, in quanto egli ha sviluppato un software di incontro domanda-offerta che ha presentato in un' audizione in Commissione Lavoro della Camera dei deputati come il pezzo mancante e fondamentale del sistema informativo italiano per garantire il successo del reddito di cittadinanza.
Di Maio, che non si sa dove abbia conosciuto il professore italo-americano e perché abbia da subito nutrito tanta stima e fiducia nei suoi riguardi, ha designato Parisi, tirandolo fuori dal cilindro, quale presidente dell' Agenzia ministeriale per le politiche attive del lavoro, Anpal, nonché amministratore unico di Anpal Servizi SPA, società in house della stessa Agenzia a cui il decreto legge sul reddito di cittadinanza assegna ben 500 milioni di euro (il doppio dei fondi destinati alle Regioni), al fine di assumere i cosiddetti "navigator" mediante procedure di selezione che consistono in un semplice colloquio o in test a risposta multipla.
Nella passata legislatura fu proprio l'attuale presidente della Commissione Lavoro del Senato, la solerte grillina Nunzia Catalfo, a rilevare a proposito della governance di Anpal ed Anpal Servizi SPA un evidente conflitto di interessi a causa della coincidenza tra soggetto controllore e soggetto controllato, paventando la nullità degli atti di nomina per manifesta illegittimità.
Forse per questo la prima proposta del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali fu il superamento della coincidenza dei ruoli nonché la previsione di due distinti vertici per Anpal e la sua società controllata Anpal Servizi SPA, inseriti prima nel "decreto Genova" e poi nel decreto "Semplificazioni" approvato dal Consiglio dei ministri di lunedì 15 ottobre 2018. Fino al colpo di scena almeno: nella legge di bilancio 2019 viene non solo riproposta la medesima situazione designata dal Jobs Act ed evidenziata con allarme dalla senatrice Catalfo, ma vengono altresì ridotti i poteri del direttore generale dell' Anpal a favore del potenziamento di quelli del presidente. Occorre sottolineare inoltre che lo statuto dell' Anpal prevede l' incompatibilità tra l' incarico di presidente e altri rapporti di lavoro subordinato pubblico o privato, nonché con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo, anche occasionale, che possa entrare in conflitto con gli scopi e i compiti dell' Anpal. Quindi Parisi dovrebbe rinunciare agli incarichi che ha negli Stati Uniti nonché ai suoi affari per ricoprire codesto nuovo ruolo.
GLI AFFARI DI MIMMO PARISI Come se non bastasse l' art. 6, comma 8, del decreto legge sul reddito di cittadinanza prevede la possibilità per il ministero del Lavoro di dotarsi di strumenti e piattaforme informatiche, volte a favorire l' incontro tra domanda e offerta di lavoro come il software messo a punto da Parisi, attraverso enti controllati e società in house, come appunto Anpal Servizi SPA. Tuttavia, speriamo che il ministero non si sia scordato che per questo genere di acquisti i dicasteri stessi così come gli enti controllati e le società in house devono procedere mediante bandi e gare, ossia rispettando le leggi nazionali e comunitarie che non possono essere in alcun modo aggirate mediante delega.
Sul costo poi di queste eventuali piattaforme informatiche non viene specificato nulla. L' unica certezza è che non abbiamo altra scelta che comprare il sistema studiato in America da Parisi per riuscire in qualche modo a portare nelle tasche degli italiani l' elemosina di Stato e pervenire al boom economico nonché all' abolizione della povertà. Mimmo Parisi ci salverà.
Ultima ora Di Maio:“Tagli agli stipendi di Fazio e Vespa? È finita l’epoca di chi guadagna 3 milioni di euro in tv di Stato”
“Tagliare gli stipendi di Bruno Vespa e Fabio Fazio? È finita l’epoca in cui si può guadagnare nella tv di Stato 3-3,5 milioni all’anno.
Credo che sia arrivato il momento di dare una sforbiciataagli stipendi dei politici ma anche di qualcuno, che non è politico, ma che sta dentro un’azienda di stato. Questo è un obiettivo di questa legislatura”.
Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, a Pomigliano D’Arco.
GUARDA IL VIDEO: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/02/04/rai-di-maio-tagli-agli-stipendi-di-fazio-e-vespa-e-finita-lepoca-di-chi-guadagna-3-milioni-di-euro-in-tv-di-stato/4945279/?fbclid=IwAR3R0uNHLR9eOP7-JcPLOO7aDBTOezI8OE7_11Oeks07Sdy76tA8zSnGBmU
Sardegna, l’azienda che compra latte dalla Romania? E’ sufficiente questa foto per farti capire chi la possiede
E la visita di Renzi PD di appena un anno fa al caseificio Pinna di Thiesi in Sardegna, proprio col gruppo di industriali che ha messo in ginocchio l’economia lattiero casearia sarda e gli allevatori, importando il latte dalla Romania e dalla Bulgaria spacciandolo poi per formaggio prodotto con latte Sardo, e che ha deciso il misero prezzo di 0.60 centesimi di euro a litro di quest’anno agli allevatori, ve la ricordate? Vi ricordate come festeggiavano felici insieme i fratelli Pinna e gli esponenti del PD? Eravamo nel novembre 2017
Ovviamente la storia del latte rumeno era gia’ stata denunciata ai tempi del PD, con Martina ministro dell’agricoltura:
di Romano Satolli- Unione Nazionale Consumatori Sardegna: 27 giugno 2017 Ho saputo del sequestro del formaggio rumeno dalla stampa toscana, prima che dall’Unione. Telefonai subito ad un amico dirigente dell’ICQRF del Mipaaf, il quale non sapeva nulla, cosi come all’ICQRF di Cagliari e Sassari. Già da subito, però, immaginai che il latte provenisse dal caseificio dei F.lli Pinna di Timisoara, in Romania. Oggi leggo che era destinato al loro stabilimento di Thiesi. A parte la dichiarazione del titolare che il latte rumeno è migliore di quello sardo, per cui certe dichiarazioni gridano vendetta se pronunciate da un sardo, che ripete ancora una volta che non era un formaggio DOP e che non hanno mai importato latte rumeno in Sardegna, i nostri pastori ringraziano commossi. In occasione della costruzione del loro caseificio in Romania, scrissi che le mie parole non sarebbero state tenute in considerazione, laddove appariva la pubblicità del “Brigante” (guarda il caso di certi nomi!).
Scrissi allora, e ripeto oggi, che ci mancava altro che vendessero dalla Romania formaggi DOP sardi ottenuti da latte rumeno e bulgaro, ma chiesi perché quei formaggi venivano venduti con nomi italiani, invece che Rumeni! Non era una domanda oziosa!
Denunciai anche il fatto che quel caseificio in Romania era stato finanziato con i fondi del nostro Ministero dell’Agricoltura che poteva meglio investirli in Sardegna per aiutare i nostri pastori! Un altro fatto scandaloso era che in quei tempi il Pinna era presidente del Consorzio di Tutela del Pecorino sardo! Un difensore del nostro DOP che gli fa concorrenza con formaggi da lui prodotti in Romania, dove notoriamente il costo del lavoro e della materia prima sono notevolmente più bassi.
Ora leggo che la Coldiretti scende in piazza, con la solita sfilata di trattori e bandiere gialle, un’altra bella occasione di pubblicizzarsi davanti ai consumatori e dare un contentino agli allevatori incazzati che versano ogni anno la quota per essere tutelati. Poiché il pecorino di Sardegna DOP certificato è meno del 10% della produzione totale, perché non convincono i produttori ad aumentare la quota del certificato, e far capire che la DOP certificata non è una spesa, ma in grado di dare un valore aggiunto che remunera i loro sacrifici, convincendo i consumatori a scegliere solo quello certificato? Tra l’altro, il consorzio di tutela non ha nemmeno un ispettore che vada sul mercato a fare i controlli, cosi come fanno gli ispettori dei vari Parmigiano, Emmenthal, Caciocavallo, Fontina ecc.?
La questione del sequestro, a quanto pare, è stata superata, ma si poteva risolvere con una contravvenzione. La mancanza di etichette, come riportato dalla stampa, non era necessaria in quanto il formaggio era destinato ad un altro stabilimento e non al consumo. Era sufficiente una lettera di vettura con le caratteristiche del prodotto: formaggio di latte di pecora o pecorino da grattugia, per esempio.
Il Signor Pinna dovrebbe però spiegare ai consumatori che non credono più alle favole, per quali motivi questa partita di formaggio, invece di essere esportata direttamente dalla Romania, deve passare prima in Sardegna: forse per fargli prendere l’aria isolana? In vista del TTIP che il nostro governo si appresta a firmare e dare la mazzata definitiva alla nostra agricoltura, credo che questi nostri “capitani coraggiosi” siano quelli che avranno più da guadagnarci! Ho letto che oggi alla Sella & Mosca ci sarà un convegno sui formaggi DOP con tutto il gotha dell’industria casearia. Cosa dirà la nostra Assessora all’Agricoltura di questo fatto? Ci sarà anche il signor Pinna, quale maggior industriale dell’industria casearia sarda e rumena?
FINI PRIMA UDIENZA PER 12 ANNI DI GALERA, RIDI ADESSO CARO GIANFRANCO
Oggi,per Gianfranco Fini è un giorno drammatico: dopo il rinvio a giudizio per riciclaggio stabilito dal Gup di Roma lo scorso luglio - che lo ha spedito a processo insieme ad Elisabetta Tulliani, il padre e il fratello di quest'ultima, Sergio e Giancarlo Corallo - l'ex presidente della Camera affronta oggi il suo primo di giudizio.
E, sulla carta, rischia fino a 12 anni di carcere: siamo a un passo, dunque, dal termine di una parabola che ha avuto inizi gloriosi, passati burrascosi e un probabile finale disastroso.
Leggi anche: Fini avvistato al negozio di antiquariato. E umiliato Il processo è fissato davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Roma: oggi saranno rese note le date delle prossime udienze e non verrà ascoltato nessuno. Al centro delle contestazioni dei magistrati, nel dettaglio, l'operazione di compravendita del celeberrimo appartamento di Montecarlo.
I reati contestati dalla procura ad alcuni imputati sono quelli di associazione a delinquere finalizzata al peculato, riciclaggio ed evasione fiscale.
Da par suo, Fini si mostra poco preoccupato per l'avvio del processo: "Finalmente. Serenità, coscienza a posto e, quindi, fiduciosa attesa del giudizio".
Dunque le parole dell'avvocato di Giancarlo Tulliani, Alessandro Diddi, che commenta così la posizione del suo assistito, che si trova a Dubai: "È preoccupato, ma nell'assoluta consapevolezza di essere innocente e non latitante". Staremo a vedere...
“HANNO TRUCCATO I DATI PER AFFONDARE L’ITALIA” MONTI E UNA BANCA EUROPEA SPUTTANATI DAI PM
Per questo motivo il pubblico ministero alla fine della requisitoria ha chiesto la condanna a due anni di reclusione e 300mila euro di multa per Deven Sharma, all’ epoca presidente mondiale di S&P, e a tre anni di reclusione ciascuno e 500mila euro di multa per Yann Le Pallec, responsabile per l’ Europa, e per gli analisti del debito sovrano Eileen Zhang, Franklin Crawford Gill e Moritz Kraemer.
Per la società di valutazione è stata chiesta la condanna alla sanzione pecuniaria di 4,647 milioni di euro.
Insomma, mentre il quarto governo Berlusconi viveva la sua fase più angosciosa sotto la spinta della crisi da spread, l’ agenzia di rating non avrebbe ottemperato agli obblighi di veridicità delle informazioni fornite. I report sotto accusa sono quattro, l’ ultimo dei quali è il declassamento del rating dell’ Italia di due gradini (da A a BBB+) del 13 gennaio 2012. Il confronto tra 2010 e 2011 citato Ruggiero, che ha parlato per cinque ore, attiene al fatto che il contratto tra il Tesoro e l’ agenzia di rating, durato 17 anni, cessò nel 2010 «ed è dal 2011 – ha sostenuto il magistrato – che si registrano bocciature dell’ Italia da parte dell’ agenzia» adducendo così un «movente ritorsivo» per il delitto contestato.
Il pm ha poi fatto riferimento alla testimonianza del direttore del Debito pubblico presso il Tesoro, Maria Cannata, secondo cui S&P «avrebbe sempre enfatizzato aspetti critici rispetto all’ Italia» e che parlare con i suoi analisti era come «parlare al vento». Ruggiero ha citato come «bazooka fumante» due intercettazioni.
La prima è la telefonata del 3 agosto 2011 tra l’ ex manager S&P Maria Pierdicchi col presidente Sharma in cui si faceva riferimento al fatto che «serve più personale senior che si occupi dell’ Italia», dunque ammettendo l’ impreparazione del team di valutazione. La seconda è una mail dell’ ex responsabile corporate rating Renato Panichi nella quale si sottolineava come la valutazione del sistema bancario al momento del taglio del rating fosse «esattamente contraria alla situazione reale».
«Molti indizi raccolti fanno più di una prova sul complotto ordito da oligarchie, troika, banche di affari e massonerie internazionali, per abbattere e sostituire con un loro fiduciario, un governo democraticamente eletto, quello presieduto da Silvio Berlusconi», ha commentato il capogruppo di Fi alla Camera, Renato Brunetta, parlando di «un vero e proprio colpo di Stato» e invocando ancora una commissione d’ inchiesta parlamentare. «Le agenzie di rating sono state gli esecutori di un complotto che però ha mandanti politici», ha chiosato la deputata azzurra Elvira Savino. S&P ha ribadito che «le accuse non sono suffragate da prove degne».
“Vogliono fermare questo Governo e ci riusciranno se la gente non si sveglia”. Lo scrittore in diretta tv lancia un messaggio agli italiani
“Vogliono fermare questo Governo e ci riusciranno se la gente non si sveglia”. Lo scrittore in diretta tv lancia un messaggio agli italiani
Su Rai e Mediaset non vedrete mai queste cose. Diffondetele ovunque, dobbiamo fare rete e informare la gente.
“La favola dell’Europa non è quella che ci raccontano” Lorella Cuccarini esce dal coro rosso con una coraggiosa intervista
Il libro Gli Stregoni di Marcello Foa? “Illuminante”. L’Unione europea? “La favola dell’Europa non è quella che ci raccontano”.
A rispondere in questo modo, in una lunga intervista al quotidiano La Verità, è la showgirl Lorella Cuccarini. Si professa “un’assidua frequentatrice” del sito dell’economista Alberto Bagnai e, senza scendere nei dettagli, dichiara di aver votato per una delle forze attualmente al governo.
La “più amata dagli italiani” racconta la sua svolta sovranista. Il libro di Foa mi è stato consigliato da mia sorella, e mi ha molto colpito. Due anni fa ho letto Il mondo nuovo di Aldous Huxley, e mi si è aperta la finestra del ragionamento sulle utopie negative.
La showgirl, oggi 53enne, nella scelta tra popolo ed élite non ha dubbi: si colloca con il popolo, perché – spiega – non si sente rappresentata dalle élite. Quanto a uno degli argomenti più discussi degli ultimi giorni, lo spread, dice: Pochi giorni fa ho letto un sondaggio: una delle paure più grandi degli italiani è lo spread (..)
Non possiamo vivere con l’incubo dello spread. L’ho capito persino io!”. Lorella Cuccarini non nasconde la sua ammirazione per Paolo Savona, ministro per gli Affari europei, e, sull’Unione europea dice: Viviamo una Unione divisa dagli egoismi, costruita sulla speculazione dei grandi mercati. Non c’è etica, c’è troppa finanza (..) sovranità sembra diventata una brutta parola. Eppure il concetto è scritto nel primo articolo della nostra Costituzione!
Da una Tv araba, Emma Bonino: ci servono 1,6 milioni di immigrati ogni anno
Queste sono le voci riportate all’estero, mentre a noi fanno credere che vogliono fermare l’immigrazione. Emma Bonino:
Gli immigrati hanno contribuito al pil italiano con 100 miliardi di euro. Ci pagano 640mila pensioni.
Abbiamo un problema demografico, servono 1,6 milioni di immigrati ALL’ANNO!!
Che, per il periodo a cui fa riferimento, dal 2016 al 2025, fanno 16 MILIONI DI IMMIGRATI!!
“Niente ergastolo per Battisti”, c’è un accordo del 2017 firmato da Orlando (Pd)
La notizia dell’arresto di Cesare Battisti è uscita da poche ore e già scoppia il caso: «L’Italia si è impegnata per garantire che non sarà applicato l’ergastolo all’ex terrorista», spiega l’ex direttore degli Affari di Giustizia del ministero, Raffaele Piccirillo, che seguì direttamente il caso quando ministro era Andrea Orlando.
Il no all’ergastolo sarebbe previsto dall’accordo, della cosiddetta ‘condizione accettata’, concluso il 5 e 6 ottobre del 2017, quando il ministro della giustizia era Orlando. Per cui a Battisti, una volta estradato, sarà applicata la pena massima di 30 anni».
Questo perché in Brasile non c’è l’ergastolo, è vietato dalla Costituzione. «L’autorità che doveva concedere l’estradizione, ossia il Brasile, ha apposto la condizione legata all’ergastolo e il ministro della Giustizia l’ha accettata», afferma Piccirillo, spiegando che questo è legato all’asimmetria tra il sistema giudiziario brasiliano, che «non prevede l’ergastolo e anzi lo considera incostituzionale e quello italiano, dove invece l’ergastolo è formalmente ancora previsto», anche se di fatto non trova più concreta applicazione.
Senza questa intesa, il via libera all’estradizione, il cui iter era già stato espletato, si sarebbe arenato. «Trent’anni – aggiunge Piccirillo – sono il tetto sanzionatorio accettato dal Brasile e su cui c’è l’impegno».
Un tetto che potrebbe essere rivisto al ribasso? «Sul piano tecnico – spiega il magistrato – si potrà valutare se Battisti può usufruire dei benefici penitenziari, come la liberazione anticipata prevista dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario.
Quest’articolo, però, è entrato in vigore dopo la condanna di Battisti, che in ogni caso potrà beneficiarne dopo aver scontato metà della pena, quindi ritengo non ci sia nulla di immediato, si parla di almeno 15 anni di tempo». www.ilmessaggero.it
Rai,il Governo fa sul serio. Bloccato il contratto del servo dei servi Bruno Vespa
In vista delle elezioni europee, e del ribaltone ormai certificato dai sondaggi tra Lega e M5s, in Rai sono in corso le grandi manovre per mettere in atto i nuovi piani industriale e di informazione. Il primo sarebbe sulla scrivania dell’Ad Fabrizio Salini, finora tenutosi lontano dai riflettori scegliendo quindi di muoversi con discrezione.
Ben più rumorosa invece si preannuncia l’azione del presidente Marcello Foa che, secondo il Fatto quotidiano, avrebbe tutte le intenzioni di mettere in pratica il piano di informazione, già fallito ai tempi della Rai renziana, mettendo nel mirino alcuni pezzi da 90 di viale Mazzini, a cominciare da Bruno Vespa. Il contratto per la prossima stagione di Porta a porta per il momento non è stato rinnovato.
L’idea di Foa, già anticipata in Commissione Vigilanza, è quella di tagliare ancora i compensi e razionalizzare le risorse, quindi la speranza del presidente Rai è di sedersi a un tavolo con Vespa per rimettere tutto in discussione.
Le novità potrebbero riguardare innanzitutto lo stipendio del conduttore, oggi di 1,2 milioni di euro, oltre che il numero delle puntate settimanali, che al momento sono tre. C’è ancora chi si illude di costringere Vespa ad accettare il tetto di 240 mila euro imposto ai giornalisti Rai, ma di sicuro Foa punta a una riduzione del suo stipendio, anche per tranquillizzare i malumori grillini.
“I Renzi vanno arrestati o non si fermeranno” Ecco le carte che hanno obbligato il tribunale ha dato l’ok ai domiciliari
Per Matteo Renzi “chi ha letto le carte e ha un minimo di conoscenza giuridica sa che privare persone della libertà personale per una cosa come questa è abnorme”. Secondo l’ex premier, insomma, gli arresti domiciliari per i suoi genitori, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatture dalla Procura di Firenze, sono un provvedimento esagerato.
A leggere l’ordinanza del gip Angela Fantechi la realtà è ben diversa. Le date, in questo caso, sono fondamentali per comprendere la ratio della misuracautelare. La richiesta di arresti da parte dei pm titolari dell’inchiesta è datata 26 ottobre 2018: il giorno prima la procura di Cuneo aveva chiesto il rinvio a giudizio per Laura Bovoli (madre dell’ex Rottamatore), accusata di concorso in bancarotta fraudolenta per il crac della Direkta srl.
Indagando sui conti di quest’ultima società, gli inquirenti piemontesi hanno scoperti alcuni intrecci con aziende legate ai Renzi, tra cui la Delivery Service e, soprattutto, la capofila Eventi 6, su cui i magistrati fiorentini stavano già indagando in altri filoni d’inchiesta.
È l’inizio di un’indagine complessa che passa a Firenze per competenza e coinvolge la gestione di altre società, la Europe Service e, sopratutto, la Marmodiv, per cui i pm avevano già chiesto il fallimento il 4 settembre 2018. Scattano le perquisizioni e il 31 gennaio 2019 la Procura del capoluogo toscano ordina un’ultima consulenza tecnica d’ufficio proprio sulla Marmodiv.
Quest’ultimo non è un particolare di poco conto: non si tratta di una situazione già chiusa, ma assolutamente in divenire. E che determina la scelta del gip di concedere gli arresti domiciliari a quattro mesi dalla richiesta del pm (istanza presentata il 26 ottobre, firmata il 13 febbraio). Nell’ordinanza del giudice Fantechi la decisione è spiegata con dovizia di particolari: “Sussiste il concreto ed attuale pericolo che gli indagati commettano reati della stessa specie di quelli per cui si procede (tributari e fallimentari), ciò emerge dalla circostanza che i fatti per cui si procede non sono occasionali e si inseriscono in un unico programma criminoso in corso da molto tempo, realizzato in modo professionale con il coinvolgimento di numerosi soggetti nei cui confronti non e stata avanzata richiesta cautelare e pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini“.
Quindi: “Unico programma criminoso in corso da molto tempo”, “pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini”. Il dato cronologico, a leggere il provvedimento del gip, diventa determinante proprio quando si parla della Marmodiv: “Attualmente, è in corso di compimento, da parte di Renzi Tiziano e Bovoli Laura, la fase dell’abbandono della Marmodiv ed è del tutto verosimile ritenere che, ove non si intervenga con l’adozione delle richieste misure cautelari, essi proseguiranno nell’utilizzo di tale modus operandi criminogeno, coinvolgendo altre cooperative, risulta poi pendente la richiesta di fallimentodella Marmodiv avanzata dal P.M.”.
Domanda: ma non bastava l’interdizione all’attività imprenditoriale? Per il giudice Fantechi evidentemente no. E lo spiega così: “Sul punto occorre rilevare che avendo gli stessi rivestito ruoli di amministratori di fatto e avendo gli stessi agito tramite ‘uomini di fiducia’ non è possibile ritenere sufficiente una misura quale il divieto di esercitare uffici diretti di persone giuridiche ed imprese, atteso che essa consentirebbe di impedire agli indagati di rivestire solo cariche formali, lasciandoli invece liberi di agire con condotte assai più subdole e pericolose perché di più difficile accertamento“.
Provvedimento esagerato, quindi? Sarà il tribunale del Riesame a dirlo. Fatto sta che il giudice per le indagini preliminari non ha avuto dubbi, tanto è vero che non ha neanche concesso la sospensione della pena a causa della “gravità concreta dei reati per cui si procede e la loro esecuzionein un contesto temporale rilevante”. Riferendosi a Tiziano Renzi e Laura Bovoli, poi, il gip Fantechi parla di “condotte volontarie realizzate non per fronteggiare una contingente crisi di impresa, quanto piuttosto di condotte imprenditoriali finalizzate a massimizzare il proprio profitto personale con ricorso a strategie di impresa che non potevano non contemplare il fallimento delle cooperative”. Insomma: Tiziano e Laura andavano fermati subito. Che piaccia o no e a prescindere da quel cognome importate.
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