giovedì 18 marzo 2021

“Italiani sempre più poveri. Rabbia sociale salita al 73% rischia di esplodere da un momento all’altro”





Di Adolfo Spezzaferro – Roma, 17 mar – Italiani più poveri, con il ceto medio falcidiato, e tensione sociale alle stelle: sono i danni più evidenti delle restrizioni imposte per contrastare la pandemia. A fotografare il Paese è il Rapporto Ipsos-Flair 2021, presentato oggi al Cnel-Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. “La danza immobile di un Paese al bivio” è il titolo dell’indagine, che non lascia dubbi su come stiamo messi

Ipsos: “Smottamento ceto medio, dal 40% pre-pandemia al 27% di oggi. Tensione sociale al 73%”


Quello che emerge è “lo smottamento del ceto medio, passato da quasi il 40% del pre-pandemia al 27% di oggi“. Ma anche “la crescita della tensione sociale, che cova sotto la cenere e che intanto è salita al 73% e potrebbe esplodere da un momento all’altro“. Altro dato che fa riflettere: le donne sono il vero (e non riconosciuto) sistema di welfare italiano (61% contro il 21%). Quali sono i sentimenti dominanti ai tempi della pandemia? La paura (28%) e l’attesa (33%), seguiti da altre due pulsioni negative come delusione (24%) e tristezza (22%). Attenzione, poi: la rabbia ribolle nel 13% delle persone. Mentre serenità, dinamismo e passione animano, ciascuna, soltanto il 5% dell’opinione pubblica. Emerge dunque un’emergenza sociale che va affrontata al pari di quelle sanitaria ed economica.

La presentazione al Cnel del Rapporto Ipsos-Flair 2021

I numeri del rapporto, basati su un campione di 1.000 persone rappresentativo della popolazione italiana per ogni quesito emergono dal Rapporto Ipsos-Flair 2021 presentato oggi dal presidente del Cnel Tiziano Treu, da Nando Pagnoncelli ed Enzo Risso, presidente e direttore scientifico Ipsos, e commentato da Vladimiro Giacché, responsabile Comunicazione, Studi e Marketing strategico Banca del Fucino; Linda Laura Sabbadini, editorialista di Repubblica e Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.

Ipsos: “Non conosciamo ancora il reale impatto economico della pandemia”

“L’Italia è un Paese ambiguo sul da farsi, incompleto nella sua capacità di agire, avvolto, come in un eterno ossimoro, in una danza immobile, in cui i personaggi in scena lottano per le proprie maschere”, spiega Pagnoncelli. “Molti dei danni collaterali del Covid li cominciamo a intravvedere, ma non riusciamo ancora a pesarne fino in fondo la portata. Non sappiamo quando, se e come finirà la pandemia. Non sappiamo ancora il reale impatto economico, tantomeno quello di lungo periodo: quanti saranno i nuovi disoccupati, quanti professionisti commercianti, operatori turistici o piccoli imprenditori perderanno la propria impresa o attività”, sottolinea invece Risso.

Il direttore scientifico di Ipsos ammette che “non riusciamo a definire in tutte le sue sfaccettature, la dimensione dei danni arrecati al sapere, alla formazione delle future classi dirigenti, né riusciamo a quantificare gli effetti futuri sui comportamenti sociali, culturali e sui consumi“.

Treu: “Siamo obbligati a correre e recuperare il tempo perduto”

Per il presidente del Cnel Treu, “lo scenario delineato dal Rapporto Ipsos, che è emerso anche dai documenti presentati dal Cnel negli ultimi mesi al Parlamento e al governo, ci obbliga a correre e recuperare il tempo perduto. Milioni di imprenditori e lavoratori, soprattutto donne e giovani, aspettano risposte che tardano ad arrivare”. “Le prospettive di ripresa sociale e personale dalle ferite della pandemia sono più complesse dei processi di mera ricostruzione economica. E richiedono quindi misure altrettanto complesse di protezione e di promozione umana. Affinché la transizione epocale in atto sia effettivamente giusta e non si limiti a innovare nelle scelte della economia, ma sappia aiutare le persone a sostenere l’impatto delle novità economiche e tecnologiche e a beneficiarne”, aggiunge Treu.

La paura della recessione (57%) supera quella per il Covid (43%)

Anche perché l’Italia è al primo posto nel mondo per la paura di perdere il lavoro diffusa tra i cittadini (62%). Perché i soldi non bastano, complici la crisi e i ritardi nei sostegni (spesso insufficienti). Infatti il 37% degli italiani non è in grado di fare fronte a una spesa imprevista. “Non mi fido più di nessuno, né delle banche, né delle imprese né degli imprenditori. Tutti, quando possono, cercano di fregarmi” è la risposta data dal 64% del campione. Infine, la paura della recessione (57%) supera quella per il Covid (43%). L’escalation della crisi sociale è ormai alle porte.

Adolfo Spezzaferro

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mercoledì 17 marzo 2021

Sassari, 2 marocchini stuprano una 50enne: “Se racconti qualcosa mostriamo queste foto a tua figlia”. A processo

 




(ANSA) – SASSARI. A processo per il presunto stupro di una donna conosciuta sui social. Redouane El Hani e Mohamed Laaraj, entrambi marocchini di 33 anni, sono stati rinviati a giudizio questa mattina 16 marzo dal gup del Tribunale di Sassari, Giuseppe Grotteria, con l’accusa di violenza sessuale di gruppo. I due, difesi dall’avvocato Claudio Mastandrea, si professano innocenti e saranno giudicato con rito ordinario nel processo che si aprirà il 9 giugno prossimo.

Il gup ha accolto la tesi del pm Ermanno Cattaneo, secondo cui El Hani e Laaraj, dopo aver conosciuta su un social network una donna cinquantenne residente in provincia di Oristano, l’avrebbero poi incontrata in un casolare di Codrongianos e stuprata, immortalando sui cellulari la violenza.

Secondo le accuse mosse dal pubblico ministero, i due avrebbero minacciato la vittima di tacere: «se racconti qualcosa mostriamo queste foto a tua figlia». E la donna aveva taciuto. La vicenda però era venuta alla luce in seguito ad alcune intercettazioni telefoniche nell’ambito di un’inchiesta condotta dai carabinieri di Porto Torres su un presunto traffico di droga. Quindi erano partite le indagini sulla violenza sessuale, approdate ora in Tribunale.

A processo per il presunto stupro di una donna conosciuta sui social. Redouane El Hani e Mohamed Laaraj, entrambi marocchini di 33 anni, sono stati rinviati a giudizio questa mattina 16 marzo dal gup del Tribunale di Sassari, Giuseppe Grotteria, con l’accusa di violenza sessuale di gruppo. I due, difesi dall’avvocato Claudio Mastandrea, si professano innocenti e saranno giudicato con rito ordinario nel processo che si aprirà il 9 giugno prossimo.

Il gup ha accolto la tesi del pm Ermanno Cattaneo, secondo cui El Hani e Laaraj, dopo aver conosciuta su un social network una donna cinquantenne residente in provincia di Oristano, l’avrebbero poi incontrata in un casolare di Codrongianos e stuprata, immortalando sui cellulari la violenza.

Secondo le accuse mosse dal pubblico ministero, i due avrebbero minacciato la vittima di tacere: «se racconti qualcosa mostriamo queste foto a tua figlia». E la donna aveva taciuto. La vicenda però era venuta alla luce in seguito ad alcune intercettazioni telefoniche nell’ambito di un’inchiesta condotta dai carabinieri di Porto Torres su un presunto traffico di droga. Quindi erano partite le indagini sulla violenza sessuale, approdate ora in Tribunale.

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martedì 16 marzo 2021

Di Maio “regala” 12 tonnellate di aiuti alimentari al Sud Sudan. E migliaia di italiani in fila per mangiare (Video choc)





Roma, 15 mar. (Askanews) – È atterrato questo pomeriggio presso l’aeroporto di Juba, in Sud Sudan, un volo umanitario della Cooperazione italiana partito dalla Base di Pronto Intervento delle Nazioni Unite (UNHRD) di Brindisi con un carico di 12 tonnellate di beni umanitari, materiale di prima assistenza ed aiuti alimentari, forniti rispettivamente dalla Cooperazione italiana e da Organizzazioni della Società Civile. La spedizione, realizzata in collaborazione con la Federazione internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFRC), è destinata a rafforzare l’assistenza umanitaria a sostegno della popolazione sfollata a seguito delle inondazioni dello scorso anno e della popolazione locale afflitta dalla crisi sanitaria ed alimentare in atto nel Paese.

E intanto migliaia di italiani fanno la fila per un pasto caldo

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Vaccini, il “becchino” Speranza contro la sospensione di AstraZeneca: “Non si può cambiare marca”





Da Affari Italiani – Il governo, oltre alle tante emergenze in atto, in seguito allo scoppio della pandemia da Coronavirus, adesso deve fare i conti con l’ennesima grana. La sospensione del vaccino AstraZeneca, decisa dall’Ema, in seguito ai sospetti casi di morti subito dopo la somministrazione del siero anglo-svedese, ha spiazzato l’Italia. Solo 12 ore prima l’Aifa aveva fatto un comunicato in cui dichiarava il vaccino sicuro, escludendo ogni criticità. Poi la mossa della Germania di far sospendere le vaccinazioni con AstraZeneca ha causato un effetto a catena e l’Italia si è accodata. Ma questo ha creato ancora più “effetto panico” tra la gente, rendendo la situazione ancora più complicata.


Dopo la sospensiva decisa ieri dall’Aifa – si legge sulla Stampa – i «disertori» sono destinati ad aumentare. Per questo al ministero della Salute non intendono retrocedere di un millimetro dalla linea. “I vaccini non si scelgono, chi rifiuta quel tipo di antidoto si mette in coda alla fila”. La preoccupazione del governo va di pari passo con una certa irritazione. Mentre Speranza e il premier Mario Draghi si esponevano assicurando che il vaccino di Astra- Zeneca era sicuro, nessuno, in primo luogo l’Aifa, ha saputo captare e riferire che qualcosa stava accadendo. Il ministro tedesco ha chiamato subito Speranza, che si è consultato con i colleghi di Spagna e Francia, pronti ad allinearsi. A quel punto Speranza ha cercato Draghi e reso pubblica la decisione. La parola finale ora spetta all’Ema, che giovedì tirerà le somme sugli approfondimenti iniziati giorni fa sui cosiddetti «eventi avversi».

Vaccino: anche Svezia sospende AstraZeneca per precauzione

Anche la Svezia ha sospeso l’uso del vaccino anti-Covid di AstraZeneca come misura precauzionale, dopo che sono stati sollevati timori su possibili gravi effetti collaterali. Ieri Francia, Germania, Italia e Spagna avevano preso la stessa decisione.

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La Tunisia costruisce un muro lungo 200 km per fermare i clandestini: l’Italia apre i porti per accogliere i tunisini





Di Antonio Pannullo – Roma, 16 mar – C’è un muro in Tunisia. L’opportunità per parlare di muri di confine, e non di demagogici “ponti”, ce la offre il presidente della Repubblica Dominicana, Luis Abinader. Economista, imprenditore, laburista socialdemocratico, pochi giorni fa ha annunciato l’intenzione di costruire un muro lungo il confine con Haiti, che si estenderà per circa 380 chilometri. Lo scopo? Sempre lo stesso: “Porre fine in pochi anni – lui dice due – ai gravi problemi d’immigrazione illegale, del traffico di droga e della circolazione di veicoli rubati”.


I lavori dovrebbero iniziare entro la fine dell’anno. Il presidente ha spiegato che in alcuni punti più “conflittuali”, la barriera includerà una doppia recinzione insieme a sensori di movimento, sistemi a infrarossi e telecamere di riconoscimento facciale. Alcuni tratti del muro, si apprende, sono giù stati completati. E l’integrazione? L’inclusione? L’accoglienza? Si stima che circa 500.000 immigrati haitiani vivano già nella Repubblica Dominicana, la maggior parte illegalmente.

Tunisia, un muro lungo 200 chilometri

Ricordiamo tutti la grancassa dem contro l’ex presidente americano Donald Trump perché aveva osato costruire un muro di confine con Messico, per evitare proprio quegli stessi problemi. Muro che in realtà è stato iniziato – e continuato – dai democrats. Ma poco importa la verità storica, l’importante è dare addosso ai sovranisti. La storia che oggi ci interessa, invece, è quella che sta accadendo a pochi chilometri, davvero pochi, dall’Italia, proprio di fronte a casa nostra, in Tunisia. Dove neanche un mese fa unità della Guardia Costiera tunisina hanno bloccato in una stessa notte ben sette tentativi di “attraversamento illegale” delle frontiere marittime da parte di clandestini diretti in Italia. I quali, violando la loro legge e la nostra, hanno tentato di invadere il territorio di uno Stato sovrano senza la necessaria documentazione. Uscendo dalla loro nazione altrettanto illegalmente.

Nel corso dell’operazione, l’ennesima, sono state arrestate 87 persone, 45 delle quali provenienti da diversi Paesi africani e 8 già ricercate dalle forze di sicurezza. Inoltre sono state sequestrate imbarcazioni e somme di denaro in valuta straniera. Non è stato specificato quanto, ma è strano che questi fuorilegge che vengono dipinti come “disperati” e “affamati”, dispongono di somme per la traversata con le quali nel loro Paese si vivrebbe comodamente per anni. Misteri della geopolitica. La notizia interessante, e della quale quasi nessun giornalone italiano ha parlato o si è soffermato quanto quella riguardante il Messico, ben più lontano, è che la democraticissima Tunisia, già da parecchio tempo, ha completato una barriera di 200 chilometri lungo la sua frontiera con la Libia per contrastare i terroristi che provengono da lì. E sono già in funzione sistemi di monitoraggio elettronico. Il muro in questione è fatto da banchi di sabbia e fossati pieni d’acqua, che hanno reso confine invalicabile, almeno dai veicoli su ruote. I soldati tunisini hanno faticosamente costruito il muro di terra e scavato trincee a poca distanza dal confine con la turbolenta Libia. Ma, e qui viene il bello, “consiglieri” militari europei – segnatamente tedeschi – e americani avrebbero addestrato le truppe per adoperare la sorveglianza elettronica con telecamere e radar.


Perché la Tunisia ha costruito un muro di confine

L’idea verosimilmente nacque dopo che Seifeddine Rezgui, la tunisina che sparò in una località balneare a fine giugno 2015, uccidendo 38 turisti, aveva ricevuto il suo funesto addestramento proprio in Libia. Non solo. I tunisini che compirono il feroce attentato al museo del Bardo nel marzo 2015, in cui morirono 21 persone a Tunisi, si erano “formati” anch’essi in Libia. Nulla di strano che la Tunisia abbia deciso di erigere una barriera di confine dopo che dozzine di turisti stranieri erano stati assassinati da terroristi islamisti addestrati nella vicina Libia e armati da trafficanti, gli stessi che organizzano le invasioni in Italia. Per ora la barriera si estende per circa 200 chilometri di confine terrestre con la Libia, con tanto di recinzioni e torri di guardia. Il confine è lungo circa 460 chilometri, pattugliati costantemente dall’esercito tunisino, che non esita a rispondere con le armi a ogni possibile intrusione di jihadisti.

La Tunisia, dopo le cosiddette “primavere arabe” del 2011, era riuscita a sfuggire all’aggressione del terrorismo e all’instabilità politica. E questo non è piaciuto agli estremisti islamici eterodiretti, che nel 2015 hanno scatenato l’aggressione armata contro la Tunisia, Il governo ritenne allora che il Paese fosse oggetto di un complotto in corso per portare la sharia e rovinare l’economia della nazione, e dichiarò lo Stato di emergenza.
Purtroppo la Tunisia, per la sua popolazione giovane e un tasso di disoccupazione del 15 per cento, è diventata la più importante fucina di attivisti jihadisti nella guerra tra Iraq e Siria.

Consolidatasi frattanto come Stato democratico e moderno, la Tunisia ha dovuto improvvisamente affrontare la polverizzazione dello scenario politico libico e la difficoltà di approvvigionamento di greggio dovuto alle turbolenze libiche, con il conseguente impatto sulla sicurezza del border libico-tunisino. La Tunisia pertanto sta tentando da tempo in tutti i modi di stringere accordi con il Gna libico, il governo di accordo nazionale riconosciuto, cercando anche di stabilire una zona di libero scambio per sostenere il commercio. Commercio il cui volume si è bruscamente ridimensionato dopo che la Libia è caduta preda dei vari gruppi armati. Il problema è che la Tunisia non può, come dovrebbe, sigillare definitivamente i confini col vicino, perché devasterebbe la sua economia regionale con conseguenti negativi risvolti sociali. La situazione è fluida, e questo è un eufemismo: la Libia non mostra segnali di miglioramento politico e la Tunisia non può ancora a lungo sopportare questo limbo di guerra civile e commerci illegali.

Il caos libico, un problema irrisolto

La Libia, sin dai tempi di Gheddafi, era un grande partner commerciale per Tunisi. Anche se il commercio viaggiava per vie illegali, clientelari e tramite tangenti ai funzionari statali di entrambi i Paesi. Insomma, negli anni le autorità tollerarono questo sistema corrotto di contrabbando legalizzato, perché forniva relativo benessere alla popolazione, chiedendo loro solo di evitare il traffico di droghe e armi. Tutto ciò portò in realtà un benessere che lo Stato da solo non era in grado di generare in alcun modo. Con la disgregazione della Libia, questo equilibrio si è infranto, e nuovi contrabbandieri e milizie armate hanno iniziato a dettare nuove regole. Le incerte regole preesistenti non esistevano più, gli imprenditori tunisini si trovarono in balìa delle feroci bande libiche, e i confini quasi non esistevano più. Tra l’altro, la situazione di caos ha anche acceso rivalità antiche tra le tribù e le comunità locali. Il tutto complicato enormemente dall’interruzione della produzione e dell’arrivo del petrolio libico, con conseguenze gravissime sulla crisi e sulle borse di chiunque operasse nella regione. Si sono avute addirittura manifestazioni violente da parte di contrabbandieri e commercianti tunisini contro i libici, che impedivano loro una attività lavorativa di qualsiasi genere. Ci sono stati anche degli omicidi di personalità tunisine da parte di loro compatrioti poi riparati in Libia. Diplomatici tunisini in Libia sono stati rapiti. Gli attacchi terroristici di cui si è parlato hanno poi fatto il resto.

Sigillare i confini non basta

A questo punto il governo tunisino si è reso conto che tutta l’economia della zona era strangolata da questi fattori. E ha deciso di sviluppare una serie di stringenti quanto complessi accordi con la parti in causa, garantendo però la sicurezza nel traffico transfrontaliero. E lo sta facendo in modo militare, ma il commercio continua a essere ostaggio dell’incertezza del conflitto interlibico. Negli ultimi mesi, poi, si è aggiunto anche il coronavirus, che ha nuovamente portato allo stremo il commercio in quelle zone confinarie. Un anno fa esatto, la Tunisia ha sigillato i confini per la pandemia. Solo i pattugliamenti proseguono, mentre i molti commerci della zona hanno subito una battuta d’arresto. I terroristi si concentrano sulla tratta degli schiavi, favoriti dallo sgretolamento di ogni parvenza di ordine dalla parte libica. La Tunisia si protegge, insomma, ma il problema si riverbera sull’Europa, e sull’Italia in particolare. Finché non si metterà mano seriamente al dossier libico, tutto il Maghreb rischia di essere travolto. Ancora una volta, è l’Unione europea a essere latitante, lasciando il campo alle altre nazioni attrici nel quadrante mediorientale.

Antonio Pannullo
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lunedì 15 marzo 2021

Business accoglienza, mentre l’Italia affonda Lamorgese aumenta di 700 milioni i rimborsi a chi ospita migranti





Da Libero Quotidiano – Se l’esborso per l’accoglienza dei migranti fosse anche solo la metà, e per dimezzarlo basterebbe non accogliere chiunque parta dall’Africa, il governo avanzerebbe soldi per comprare 30 milioni di dosi di vaccino, che l’Ue ha acquistato a 12 euro a fiala, mentre Israele le ha pagate il doppio. Il calcolo è presto fatto. Dall’inizio dell’anno – i dati sono del Viminale – sono sbarcati 5.996 immigrati, il 127% in più rispetto allo stesso periodo del 2020 (2.610), e tale percentuale, proiettata a fine dicembre – tenendo anche conto che nei mesi prossimi le condizioni del mare saranno favorevoli e le partenze inevitabilmente aumenteranno – significa che potremmo ritrovarci ad aver accolto 70 mila stranieri, tanti quanti gli abitanti di Pavia o Ragusa.


Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, a febbraio 2020 ha alzato fino a 28-29 euro i rimborsi destinati alle associazioni che ospitano gli immigrati: in 12 mesi, moltiplicando la somma per il numero degli ospiti e i giorni dell’anno, si arriva a circa 700 milioni. La titolare del Viminale ha aumentato la quota pro capite tagliata dal predecessore, Matteo Salvini, i famigerati 35 euro abbassati dal leghista a 19 o poco più. Ma la Lamorgese, assieme alla tragica armata Brancaleone Pd-Cinque Stelle, non ha soltanto spalancato nuovamente i cordoni della borsa, ha anche affossato i Decreti Sicurezza dell’allora vicepremier, e ciò ha prodotto una miscela esplosiva sia per le casse dello Stato (cioè per le nostre), che per la sicurezza (sempre nostra), e soprattutto di questi tempi anche per la salute pubblica.

Grida vendetta che da un anno le istituzioni continuino a privare della libertà i cittadini, per di più senza risultati significativi nella lotta contro il virus, mentre decine di migliaia di clandestini seguitano a riversarsi in Sicilia, in Calabria e in Sardegna, peraltro con la complicità criminale delle Ong. C’è poi la rotta balcanica, quasi mai citata.

Nel momento in cui Salvini era riuscito a smontare, almeno in parte, il business dell’accoglienza selvaggia, d’improvviso chissà perché gran parte degli enti dal cuore d’oro che fino a quel momento si erano prodigati nel cercare di ricevere quanti più migranti possibile hanno smesso di partecipare ai bandi indetti dalle prefetture: «Non possiamo più assicurare un servizio adeguato agli ospiti, solo vitto e alloggio».

Per i robusti ragazzi di colore non c’erano più soldi né per i corsi di sci (come nel 2019, quando la Dem Deborah Serracchiani governava il Friuli Venezia Giulia), né di ballo (varie iniziative in regioni amministrate dalla sinistra), che poi l’unica cosa che non manca agli africani è il ritmo. Ma torniamo ai drammatici numeri degli sbarchi. In tutto il 2019 (Salvini è stato ministro dell’Interno fino a settembre) sono stati 11.471. L’anno dopo il triplo: 34.154. Dal primo gennaio a oggi, dei quasi 6 mila stranieri arrivati 824 sono ivoriani, 773 tunisini, 572 guineani e 493 bengalesi. Seguono eritrei, algerini, maliani, egiziani e camerunensi. Solo parte dei restanti sono libici. Com’ è noto la maggioranza non scappa da alcuna guerra. Gli italiani devastati dal Covid continuano a pagare.

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Protesta sulla nave quarantena (ci costano 300 mila euro al giorno): tre clandestini si buttano in acqua (Video)





Da pressenza.com – Abbiamo sentito telefonicamente un’esponente di LasciateCIEntrare: la situazione sulle navi quarantena risulterebbe priva di logica. Persone che fanno periodi più lunghi del dovuto e persone che prima della scadenza vengono trasferiti direttamente ad un CPR.

Le navi hanno costi stimati di 50.000 euro al giorno e sono 6. Risulta che una nave sia stata tenuta attiva per un solo migrante somalo di giovane età. Risulterebbe che alcuni migranti in quarantena sulla nave in cui è avvenuta la protesta siano stati rinchiusi senza possibilità di uscire all’aperto sui ponti. Fortunatamente tutti coloro, risulterebbero per ora 3 persone, che si sono lanciati in mare risulta siano stati salvati.

In questa intervista abbiamo pubblicato le criticità denunciate riguardo al diritto di accesso alla richiesta di protezione internazionale da parte dei migranti in particolare tunisini.

Un video della vicenda pubblicato su Facebook:

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